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Parliamo di... #11

  • Writer X Writer
  • 4 lug 2016
  • Tempo di lettura: 6 min

Tutto il percorso vitale, dall'infanzia, all'adolescenza, alla maturità, passando poi per l'esser considerato un signore e arrivando al culmine del tutto con capelli bianchi dai toni grigiastri e l'appellativo di “vecchietto” è, bene o male, statisticamente, quello che aspetta al 70-75% delle persone. La maggior parte di noi vive la propria vita nella maniera più normale possibile, accontentandosi, spesso, di un lavoro atto a garantire un'esistenza tranquilla e senza troppi grattacapi. Poi c'è un'altra fetta, quella che è riservata a poche persone, coloro che si distinguono, per talento o raccomandazione, da tutti gli altri. Ma che valgono quanto gli altri.

Si dice che sin da piccoli è lecito sognare, che sin da quando si è bambini è cosa buona e giusta immaginare sé stessi felici, a far quello che si vuole e circondati da persone che si pensa di meritare, niente di più e niente di meno.

E' soprattutto dalla giovane età che bisogna farsi in quattro per realizzare i propri desideri, perché nulla, proprio nulla te li regala, o almeno così dovrebbe essere.

Poi, in un angolino buio ma onorevole c'è chi è nato con un dono speciale: quello di bruciare le tappe ed esplodere. Non per strani stratagemmi, giri di soldi, bensì perché è così che deve andare. Forse per il talento, forse per altro, c'è chi rappresenta l'eccezione alla regola.

Raymond Radiguet era uno di questi casi.

C'è chi lo definiva come un bambino precoce, una sorta di prodigio, nonostante a scuola, data la sua insofferenza verso tale istruzione, non era visto con buon occhio dai professori.

Ma partiamo dal principio.

Raymond Radiguet nacque a Saint-Maur-des-Fosses, località posta nel Dipartimento della Valle della Marna, il 18 Giugno 1903, primogenito di sette fratelli e sorelle, e figlio di un caricaturista e disegnatore, Maurice Radiguet, sin da bambino suscitò, soprattutto nel padre, dei sentimenti di timore e compiacimento. L'irrequietezza di Raymond, nonostante, come già detto, iniziò a prostrarsi nei confronti della scuola e dei professori, diventò molto più significativa con l'inizio della guerra, quando, spesso, gli alunni erano costretti a un periodo di vacanza obbligatoria. Quindi Raymond decise di optare per una decisione drastica, ovvero di saltare le lezioni (come fanno anche molti ragazzi ai giorni d'oggi… solo che questi non lo fanno per istruzione personale, ma per evadere, appunto, da essa) per avere un'educazione alternativa e personale. Ogni mattina si sistemava sull'imbarcazione del padre ancorata alla riva e leggeva e studiava tutti i libri possibile che riusciva a raccattare dalla biblioteca del padre. Quindi sotto i propri occhi passarono numerosi artisti di grande rilievo a quell'epoca o che lo erano stati nei secoli precedenti, facenti parte del periodo storico dell'età barocca e dell'illuminismo settecentesco, come Stendhal, Proust e Rimbaud. Da notare come Radiguet, in quel periodo, avesse solo dodici o tredici anni all'incirca.

Nonostante il padre cercò di convincerlo a far ritorno a uno studio senza costrizioni, e sotto la sua guida, il ragazzo era ormai segnato. Ecco che già dai quattordici anni egli iniziò a esser coinvolto in una vita da adulto, come ben dimostra la breve storia amorosa ch'egli tenne insieme ad Alice, una ragazza ventisettenne (su per giù). Abbandona il tutto quando gli capita di diventare giornalista, giusto non troppo tempo dopo, fattore che lo porta spesso a frequentare ogni angolo Parigino per far ritorno al suo paese solo la notte.

Ora, come in ogni biografia che si rispetti, come si poteva leggere sui libri di scuola, il soggetto in questione, in questo caso Radiguet, conoscerà, frequentando vari posti di spicco, vari esponenti di importanza fondamentale. Jean Cocteau è quello più di rilievo (1918), anche se sono certo quasi nessuno di voi lo conoscerà. Com'è ovvio che sia, senza nulla togliere a quest'uomo, ovviamente.

Insieme a Cocteau, Radiguet, instaurerà un bel rapporto d'amicizia, nonché professionale, che lo porteranno sempre più a vivere una vita agiata e rinomata, ai tempi, dato che lo stesso Cocteau, di undici anni più grande, stava cavalcando la cresta dell'onda in quel della vita artistica e letteraria di Parigi.

Nei circoli letterari Parigini si sparge la voce dell'irrequieto e talentuoso Radiguet, che in un baleno riceve il soprannome di “enfant terrible”, lo stesso ragazzo che, nel 1920, a soli diciassette anni, ha già l'occasione di pubblicare una sua prima raccolta di poesie “Les jous en feu” (le guance in fiamme). Al contempo stava lavorando al suo primo romanzo, ovvero “Il diavolo in corpo”. Nel 1923, mentre aiutava Cocteau con il realizzarsi del proprio periodico “Le Coq”, un editore decise di pubblicare proprio il suo romanzo appena citato. E così “Il Diavolo in Corpo” ottenne immediato successo, soprattutto per via del contenuto di tale romanzo, che parlava di uno scandalo amoroso tra un giovane adolescente e una donna sposata di diciannove anni, che tradì il proprio sposo impegnato in guerra e all'oscuro di tutto.

Radiguet si trova ricchezza che nemmeno immaginava potesse esistere e per qualche tempo sperpera il denaro un po' qua e un po' là, aiutando, però, anche i fratelli e le sorelle. Quindi si getta letteralmente in numerosi impegni amorosi pur continuando a lavorare al suo secondo romanzo, ispirato a un'opera di La Fayette da lui letta e apprezzata quando ancora sedeva in barca a studiare in solitudine, ovvero “Il ballo del conte d'Orgel”, che cominciò due anni prima.

Tutto prima o poi trova una fine, in un modo e nell'altro, e di questo Radiguet se ne rese conto, in un certo senso, avendone particolare timore, fu per questo ch'egli decise di bruciare tutte le esperienze che gli capitarono sotto tiro velocemente com'erano sopraggiunte. Di conseguenza, un po' a sorpresa, la sua sete impertinente di esperienze mondane e frivole parve placarsi, un po' come s'egli fosse giunto alla fine di un ciclo determinato dalla vecchiaia. Eppure le cose non stavano così, aveva appena vent'anni.

Insieme a Cocteau andò a Piquey, in campagna, a trascorrere l'estate e ripulirsi psicologicamente e fisicamente da ogni suo peccato, come l'assenzio, del quale fece largo uso nei pochi mesi precedenti.

A Ottobre torna a Parigi con il suo secondo libro finito (del quale non voglio scrivere il titolo perché l'ho già detto qualche riga sopra). Una sera, in albergo, viene colto da brividi di febbre, che diagnosi e prognosi rivelano essere Tifo.

Nonostante venne ricoverato in uno dei migliori ospedali di Parigi, il suo destino era già scritto.

- Nove dicembre 1923. In una clinica parigina un malato si risveglia da un sonno inquieto. Guarda con gli occhi febbricitanti l'amico Jean Cocteau, seduto a fianco del letto, e a lui mormora con voce flebile, ma scandendo bene le parole: “Ascoltatemi, acoltatemi bene. Ho una cosa terribile da dirvi: entro tre giorni sarò fucilato dai soldati di Dio”. Cocteau, nascondendo emozione e stupore, cerca naturalmente di rincuorare e rassicurare l'infermo. Ma questi sorride amaro e precisa: “Vi assicuro che le mie informazioni sono migliori delle vostre. L'ordine è stato dato. L'ho udito con le mie orecchie”.

Qualche momento ancora di riflessione, dopo di che l'ammalato si rivolge al visitatore con una strana frase, imprevedibile in un individuo come lui che era sempre stato lucidamente legato alla palpabilità delle cose e dei sentimenti: "C'è qui un colore che fluttua e c'è qualcuno nascosto in quel colore”. Parole senza dubbio dettate dal delirio e come accade in circostanze del genere, Cocteau si affretta ad assecondare l'interlocutore: “Volete che scacci coloro che si nascondono?” domanda con aria premurosa. L'infermo lo guarda con una curiosa espressione e gli replica pronto: “Voi non potete mandare via nessuno, poiché voi non vedete il colore”. - (prefazione biografica a cura di Alberto Cesare Ambesi in "Il Diavolo in Corpo" - 1986).


Tre giorni dopo, il 12 Dicembre, come egli stesso disse, morì, e ciò avvenne in maniera brusca. Sul suo viso, al momento del fatale momento c'era un'espressione di delusione, la stessa che si prostrò davanti a parenti e amici e a Cocteau, che poi pubblicò diverse sue opere.

Morì a soli vent'anni, cinque mesi e ventidue giorni, un giovane prodigio, colui che aveva replicato ai suoi critici, in maniera ironica: “Vorrei sapere a quale età si ha il diritto di dire: io ho vissuto”, e che annotò su un taccuino: “Tutti i grandi poeti hanno scritto a diciassette anni. I più grandi sono coloro che sono riusciti a farlo dimenticare”.


Leggendo “Il Diavolo in Corpo”, l'opera che ho già descritto in un post precedente, penso che egli avesse davvero quel qualcosa in più. Un grandissimo talento che giustamente salì alla ribalta senza passare a far troppa gavetta.

E niente. “Il Diavolo in Corpo” è un bellissimo libro, scritto in maniera diversa rispetto a quelli moderni, com'è ovvio che sia, e che merita. Merita moltissimo. Davvero.


WXW

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