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La strage di Orlando e le speculazioni mediatiche

  • Writer X Writer
  • 15 giu 2016
  • Tempo di lettura: 4 min

Nel periodo degli Europei di calcio, dove un'intera nazione, quella francese, prova a non pensare alle vicende drammatiche capitate nei mesi passati, ferite ancora aperte, dell'altro, un'altra azione: crudele, spietata, e folle è riuscita a gettare tutti nel panico e nella paura.


Tra l'11 e il 12 giugno passati un killer, un ragazzo, di 29 anni, di nome Omar Seddique Mateen, cittadino americano, ex marito e padre di un figlio, riuscì a entrare in un night club di Orlando, in Florida, e a mettere in pratica il piano da egli studiato, ovvero quello di uccidere il maggior numero di persone possibili per mezzo di un fucile di assalto.


49 le vittime, 53 i feriti e altre centinaia salve per miracolo da un attacco terroristico definito come la più grande sparatoria di massa nella storia degli Stati Uniti, nonché la seconda strage con più numero di morti dopo l'11 Settembre 2001. Questi i dati, queste le informazioni tragiche emerse al mattino, dopo l'uccisione del killer da parte degli agenti della polizia, riusciti a entrare grazie a un blitz all'interno del locale ove l'assassino s'era rinchiuso.


Difficile stabilire l'esatto movente di quel ragazzo, definito affetto da bipolarità, e secondo molti omosessuale, proprio come la maggior parte dei giovani soliti a frequentare quel night club. Di giorno padre di un bimbo e uomo religioso, di notte assiduo frequentatore di locali gay di Orlando. Spesse volte si era recato proprio in quel night club ove avrebbe poi ucciso molte persone. C'è chi diceva frequentasse svariate chat di incontri, oltre a gironzolare per molti locali. Una doppia vita insomma, lui che, al contempo, una volta si infuriò vedendo due uomini baciarsi. Lui che, nonostante si pensi all'omofobia come causa scatenante quella sparatoria, aveva chiamato il 911, non molto tempo dopo aver spezzato decine e decine di vite, per definirsi fedele allo Stato Islamico, lo stesso, che poi avrebbe rivendicato con orgoglio quell'atto disumano.


Sembra esserci ancora l'ISIS sullo sfondo di questo nuovo attacco terroristico, mosso da un solo uomo e costato la vita a molte, moltissime persone.


Quello che desta molto scalpore, oltre a questa impensabile e drammatica vicenda, è l'acuta attenzione dei media, da una parte, e dei social dall'altra, che si dividono tra chi prega e si dispiace per davvero, temendo il futuro, chi finge solo per non astenersi dalla massa, e coloro ai quali non importa assoltamente nulla.

I media e i social ci giocano, cercando di trovare notizie, novità ed esclusive anche dove non ce ne sono, per vendere più copie, fare più soldi e, forse, solo dopo, gettare un pensiero anche a chi è morto. In questi ultimi giorni ho sentito e letto titoli da mettere i brividi, come "strage di gay", tanto per citarne uno, oppure chi definisce come "giusta punizione di Dio contro gli omosessuali", oppure ancora chi ride e sghignazza alle spalle delle vittime, perché "erano gay", come se fosse una punizione, una maledizione esserlo. Come se l'essere omosessuali sia una malattia incurabile, e non una scelta, una di quelle naturali, come molte altre, come quella di essere eterosessuali. Come quella di preferire quella cosa a dispetto di un'altra, o come una religione, una cultura...


Leggo #prayfororlando un po' ovunque, come molte altre solite frasi, e qui sopra ne ho messo un esempio, un'immagine che rappresenta esattamente tale modello, chiamato hashtag e di comune uso sia su Twitter sia su Facebook, un'iniziativa che porta le persone a essere più vicine l'una con l'altra, senza distinzioni, facendo sì che molta di quella gente che scrive un pensiero carino, e che sotto sotto nasconde solo la bramosia d'esser letta e apprezzata, passi tra coloro che per davvero provano tristezza e rancore.

Eppure i social sono questo, e pure i media sono quello che ho appena descritto, perché tale è il loro lavoro, così come quello dei creatori di Facebook, Twitter e così via era, ed è ancor oggi, quello di far credere alle persone che le loro parole, le loro frasi e qualsiasi altra cosa essi pubblichino, le renda per davvero influenti, quando, in vero, per esserlo, bisognerebbe dar qualcosa a questo mondo, combattendo, sicuramente, contro chi del male fa la propria arma. E non è certo con dei "mi piace", "retweet" che si cambierà, solo un minimo, in meglio, la propria esistenza.


E gli hashtag prayfor, seguiti da qualche parola, solitamente il nome di città colpite da attentato, continueranno a esserci, così come i buffoni, gli imbecilli, i senza cuore, ma anche i puri di cuore e le persone che versano una lacrima o dedicano almeno un battito del proprio cuore a chi non c'è più, e a chi ha visto i propri cari andarsene per mezzo di un gesto folle.


Lascio una foto, presa da un commento su Twitter, da uno dei famosi imbecilli, nonché deficienti, che per mezzo della religione giustifica come corrette le proprie affermazioni. E che ora sta ricevendo critiche e insulti, da parte di chi la pensa (giustamente) in maniera diversa, gli stessi, che non sono poi così intelligenti, perché far guerra con gente del genere non ha senso, perché non serve, nemmeno lontanamente, se non a far ulteriore casino.

WXW

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