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Il gioco con le mosche

  • Writer X Writer
  • 3 giu 2016
  • Tempo di lettura: 3 min

Come ho già detto molte volte, in questi ultimi due anni circa, quel che più è cambiato in me non riguarda tanto il mio carattere, le mie memorie o il mio modo di affrontare le cose, oppure ancora, il mio stile di vita, i miei ragionamenti o le mie emozioni. Potrei benissimo dir che non sono cambiate affatto, ma mentirei. Perché come in ogni uomo o donna, per quanto stupido possa esser da giovane, una maturità mentale verrà sempre alla luce.

Quel che è cambiato più di quelle cose che ho citato è il mio modo di scrivere.

E può sembrare un paradosso, anzi, più una questione stramba, perché chiunque direbbe di sé e dei propri cambiamenti uno dei punti elencati qui sopra, ma mai, mai la scrittura. Perché non avrebbe senso. E' un po' come se mettessi davanti a tutto il calcio e il mio modo di giocarci.

E tanto per fare un altro esempio, è un po' come se qualcuno dicesse quanto sia cambiato il suo modo di ragionare riguardo al fumo, preferendo quel tipo di sigaretta a un'altra eccetera eccetera, anteponendo questo a cose di un livello ben più diverso.

Io credo che il mio modo di scrivere di questi ultimi due anni circa rispecchi, quasi totalmente, il cambiamento della mia vita e di tutti quei fattori che ho posto al seguito della scrittura.

Perché lo dico? Primo perché lo penso davvero (altrimenti sarei deficiente nel dire tutto questo), secondo perché, proprio nel momento più importante riguardante questo mio processo, è arrivato questo libro di Jack London, che non solo mi ha stravolto il modo di vedere il mondo della scrittura, ma anche un poco il modo di veder la mia figura.

Ogni volta, rileggendo questo pezzo, apparentemente banale, appartenente al suddetto libro: "Il vagabondo delle stelle", capisco che tutto quello che ho scritto finora, seppur vi siano argomenti complessi e geniali (in un certo senso), non è al livello di questa paginetta riguardante un argomento stupido e per nulla coerente con la storia in sé. Parla di mosche, come da titolo, ed è incredibile. Non importa quante volte io tenti a rileggerlo, il risultato sarà sempre il medesimo. Rimarrei sempre stupefatto. E felice di sapere della mia enorme inferiorità.

Ecco a voi Jack London:


"In vita mia, ho sempre dormito poco, con il cervello in eterno movimento. In una cella, ci si stanca presto a pensare, e il solo sistema per sfuggire al pensiero consiste nel dormire. Decisi di

coltivare il sonno, come una specie di scienza. Arrivai a dormire dieci ore su ventiquattro, poi dodici, e infine quattordici o quindici ore. E' il limite estremo al quale si può giungere. Con questo regime, un cervello attivo non tarda a dissolversi, a spappolarsi nel nulla.

Ricorsi a tutti i trucchi che mi permettessero di sopportare le ore di veglia...


data:image/gif;base64,R0lGODlhAQABAPABAP///wAAACH5BAEKAAAALAAAAAABAAEAAAICRAEAOw==

(...) Allora incominciai il gioco con le mosche. Erano mosche simili a tutte le altre. Entravano nella cella sulla scia del sottile raggio di luce. E imparai che le mosche avevano il gusto del gioco. Sdraiato per terra, tracciavo sulla parete davanti a me, con un dito, una linea immaginaria, lontana circa tre piedi dal suolo. Quando le mosche si posavano sul muro, al di sopra di questa linea, le lasciavo in pace. Al contrario, se scendevano sotto, facevo finta di volerle acchiappare. Avevo cura però di non far loro del male, e con il tempo esse conobbero quanto me dove fosse la linea immaginaria.


Ma la cosa più sorprendente era che quando esse volevano giocare, venivano apposta a posarsi al di sotto della linea. Le allontanavo, e vi tornavano ancora. Accadeva spesso che una mosca ripetesse lo stesso gioco per un'ora. Quando ne aveva abbastanza andava a riposarsi in territorio neutro, al di sopra della linea divisoria.

Una quindicina di mosche mi facevano così compagnia. Ce n'era una sola che non s'interessava al gioco, ostinatamente. Dal giorno in cui aveva compreso il pericolo in cui incorreva scendendo al di sotto della linea, aveva evitato con cura di posarsi nella zona proibita.


Sulle mie mosche, sul mio modo di vivere, sui loro giochi, ho fatto ben altre osservazioni, con cui non voglio però importunarvi oltre.


Così trascorreva il mio tempo, interminabile. Non potevo dormire continuamente, e per quanto fossero intelligenti non potevo sempre giocare con le mosche. Perché le mosche sono mosche, e io ero un uomo, con un cervello umano. E questo cervello abituato a pensare, colmo di cultura e di scienza, lavorava comunque senza sosta. Era nato per l'azione, e io ero condannato a una passività totale."


Al di là dello stile, qui più semplice rispetto ad altri paragrafi, la precisione, nonché perfezione, nel raccontare uno stupido passatempo senza renderlo noioso è geniale. Tale è il particolare che mi ha stupito e del quale non fregherà un cazzo a nessuno. Così, detto senza mezzi termini.



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